Una bellissima recensione sul blog “Gli scrittori della porta accanto”.
Perché ancora oggi una donna è obbligata a fare una scelta. Oppure non ha scelta alcuna. Che poi è la stessa cosa.
Perché a volte arriva il momento in cui una frase velata d’altruismo cela la triste realtà dell’umiliante dipendenza economica dal marito: «Se facciamo un figlio non puoi anche lavorare. Chi starà con lui? […] Tu potrai rimanere a casa a fare la bella vita, come le signore» (“Io mi salverò”, Michela Scapin). Si inizia col lavoro, poi con gli interessi, le passioni, infine coi sogni. A lei spesso è chiesto di sacrificare tutto, perché le sue priorità non sono mai tali se paragonate a quelle di chi le sta intorno. Lei deve essere moglie devota, sempre pronta a soddisfare il bisogno, anche sessuale, di un uomo che spesso non ha la minima attenzione al suo piacere – o, al contrario, mendicare attenzione da chi non ha più alcun interesse, perché ormai il corpo di lei non è più attraente (“Senza lacrime cattive”, Annalisa Bruni) –, madre presente per i figli, perno di famiglie in balia di crisi finanziarie ed esistenziali (“La crisi”, Serena Antoniazzi – “Il fermaglio di Tessa”, Maria Pia Morelli). Per poi finire come una scarpa vecchia: messe da parte perché ormai il sentimento si è consumato. Oppure continua con la sua carriera, salvo poi sentirsi comunque in colpa, perché organizza eventi internazionali ma non riesce a organizzare una festa del compleanno al figlioletto. E si sente sbagliata: «Sono una madre assente, una pessima madre. Domani mi licenzio, sì me ne vado» (“Save the date”, Michaela K. Bellisario).
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